La STORIA
In Basilicata, contrariamente a quanto avvenuto in altre regioni italiane, gli studi speleologici hanno segnato il passo sia per l’assenza di adepti locali sia per la limitata estensione di zone a geomorfologia carsica, cioè con strutture geolitologiche potenzialmente ricche di ambienti carsici sotterranei. La storia speleologica lucana può sostanzialmente essere suddivisa in due distinti periodi: il primo, che potrebbe essere detto “Periodo della Speleologia Storica”, va dal 1872 al 1975, è caratterizzato da sporadiche ricerche, opera di “Uomini di Scienza” non speleologi ma antropologi e archeologi, spesso provenienti da altre zone d’Italia; Un secondo, detto “Periodo della Speleologia Contemporanea” inizia nel 1975 e si protrae fino ai nostri giorni.
La Speleologia Storica è ricca di importanti studi preistorici ed archeologici. Il Prof. Ridola, diede inizio alle ricerche ipogee in Basilicata nel 1872 esplorando e studiando la Murgia Materana. Gli studi proseguirono fino al 1878 e furono continuati, successivamente, da Ugo Rellini.
Dal materiale rinvenuto (resti di orso, di iena, di cervo), del Paleolitico medio e superiore, si riuscì a ricostruire per grandi linee la paleogeografia dell’epoca, assai differente da quella attuale. Agli inizi del ventesimo secolo fu Giuseppe De Lorenzo, geologo lagonegrese, ad esplorare la Grotta del Cervaro in contrada Fortino, a Lagonegro, nella quale rinvenne interessanti resti di preistorici abitanti della cavità appartenenti al neolitico.
Geremia D’Erasmo collaborò, negli anni successivi, con il Prof. De Lorenzo nella ricerca e nello studio sistematico dell’Elephans Antiquus i cui resti furono rinvenuti nel lagonegrese e nella Alta Valle del Sinni.
Lo stesso D’Erasmo, nel 1926, ritrovò ulteriori resti ossei animali nella sala iniziale della Grotta del Cervaro di Lagonegro dandone notizie con numerose pubblicazioni. Nel frattempo, il Prof. Di Cicco iniziava le sue ricerche alle grotte della Calda di Latronico pubblicando i risultati dei suoi ritrovamenti sul Bollettino di Paleontologia Italiana nel 1914.
Continuò gli studi negli anni successivi il Prof. Ugo Rellini il quale, effettuando degli scavi, rinvenne tutto il materiale attualmente conservato presso il Museo Archeologico di Potenza.
Si tratta di numerosi manufatti in terracotta, resti ossei umani ed animali, e persino resti di legumi conservati in alcuni vasi. Ancora oggi si susseguono gli studi preistorici della cavità (posta sotto vincolo archeologico) ad opera di numerosi archeologi e specialisti della Preistoria fra cui G. Cremonesi che rimane il miglior conoscitore della Preistoria delle grotte della Calda di Latronico.
Si giunge cosi agli inizi degli anni ’50: periodo questo in cui due speleologi di fama nazionale, in diverse occasioni, vengono in Basilicata alla ricerca di nuovi mondi da esplorare.
Pietro Parenzan esplora la Grotta del Dragone di Acquafredda di Maratea alla ricerca di un congiungimento con l’Inghiottitoio del Patricello di Rivello posto a circa 10 Km di distanza, impresa tanto ardua da farlo desistere.
Nel solito periodo Parenzan esplora e rileva topograficamente le Grotte della Calda di Latronico, iniziando così lo studio “speleologico” delle cavità che avevano visto avvicendarsi solamente archeologi ed antropologi.
Nel 1952 prima, e nel 1957 poi, lo speleologo milanese Vincenzo Fusco “sbarca” a Maratea ed esplora alcune grotte costiere tra cui le Grotte di Fiumicello che conservano resti di evidente fattura preistorica: manufatti in terracotta, materiale litico, carboni ed ossa animali, segno questo dell’utilizzazione delle grotte nell’eneolitico. Sempre ad opera di V. Fusco la pubblicazione del primo elenco catastale delle Grotte della Basilicata, limitato a sole 14 cavità esplorate, delle quali vengono descritte le principali caratteristiche.
Nel 1970 arrivano in Basilicata speleologi da altre regioni, in massima parte pugliesi e campani, ma solo per sporadiche esplorazioni. Nel 1974 un gruppo di speleologi appartenenti a più associazioni veronesi esplorano per la prima volta la grotta S. Angelo di Trecchina, dandone dettagliate notizie sul bollettino della Federazione Italiana Escursionismo.
Ci si avviava così alla nascita della Speleologia Contemporanea. Qualcosa cominciava a muoversi all’orizzonte: è il 2 novembre 1974 quando Filippo Marotta, il figlio Carmine e Giuseppe Crecca, tutti di Trecchina, esplorano la Grotta del Casolare sui monti trecchinesi raccontando poi alla gente del posto ciò che avevano visto.
A distanza di qualche mese, il 15 gennaio 1975, sotto la guida di Franco Anelli, scopritore delle Grotte di Castellana, Marotta Filippo con altre 20 persone, riunite attorno ad un caldo focolare, fonda la prima associazione speleologica della Basilicata: il Gruppo Geo Speleo Valle del Noce suddividendolo in tre sezioni: Geologica dedicata a G. De Lorenzo, Speleologica a V. Orofino e Mineralogica a M. Lamberti. A firmare lo statuto e l’atto costitutivo del Gruppo Geo-Speleo Valle del Noce sono Marotta Filippo ed il figlio Carmine, Giuseppe Crecca, i fratelli Michelino, Romeo e Gerardo Larocca, Vito Glosa, Michele e Giovanni Barbella, Maria Pia Lamberti, Oreste Buonomo, Anna Barbella, Serafina Ferraro, Egidio Ielpo, Giacomo e Gianni Larocca, Biagio Limongi, Biagio Iannini, Rocco Iaria, Mario Filippone e Vincenzo Acchiappati. Alcuni soci onorari arricchivano l’elenco: il prof. Nangeroni di Milano (allora novantenne) padre della speleologia Italiana, il Prof. Anelli scopritore e direttore delle Grotte di Castellana, la Sig.ra Antonina Lamberti, madre dell’Ing.Lamberti a cui era dedicata la sezione mineralogica, il signor Vinicio Sestili, don Guido Barbella, ed infine il sindaco di Trecchina pro-tempore.
I primi mesi furono impiegati per la organizzazione delle sezioni interne e per reperire almeno il minimo di attrezzatura necessaria a garantire la sicurezza durante le esplorazioni.
La prima escursione ufficiale il 1° Maggio dello stesso anno: ben 15 speleologi esplorano la grotta di Polifemo in località Milossina di Maratea, così denominata in quanto un grosso masso ostruisce, in parte, l’ingresso, come quello descritto da Omero nell’Odissea, quasi a voler dare il via all’Odissea degli studi speleologici Lucani, spesso ostacolati da forze esterne e non apprezzati dagli “uomini di cultura” del posto.
Nel corso di questa prima escursione arrivano le prime soddisfazioni per gli speleologi del G.G.S. Valle del Noce: vengono ritrovati resti archeologici che, ad un esame approfondito da parte del Sopraintendente alle antichità della provincia di Potenza, Dinu Adamesteanu, e dell’Istituto Germanico di Archeologia sede di Roma, risultano appartenere al V sec.a.C., periodo in cui i greci cominciarono ad insediarsi sulle coste dell’Italia Meridionale.
Il materiale fu poi consegnato alle autorità competenti per essere esposto alla Mostra Permanente di Archeologia di Rivello. Inizia un lungo periodo di collaborazione con Franco Orofino dell’Istituto Italiano di Speleologia: sotto la sua guida nel gennaio 1977 viene scritta una delle più belle pagine della storia della speleologia lucana.
Gli speleologi locali, unitamente ad altri giunti da Genova e dalla Puglia esplorano le “Festole” di Trecchina attualmente al secondo posto nella classifica delle grotte più profonde della Basilicata, ma al primo posto come profondità dell’unico pozzo che la costituisce: ben 136 metri in unica verticale.
L’entusiasmo è alle stelle: questi continui risultati fanno aumentare le iscrizioni all’associazione speleologica fino a raggiungere e superare i 100 tesserati.
Mostre di Minerali, proiezioni di diapositive nelle scuole, convegni, dibattiti pubblici sono la costante testimonianza della presenza degli speleologi inseriti in una realtà locale sempre più aperta e pronta a seguire le “imprese” dei matti speleologi.
Agli inizi degli anni ’80 il catasto annovera già 100 cavità, Trecchina diventa sede regionale della Società Speleologica Italiana e della Scuola Regionale di Speleologia. Vengono raccolti e catalogati minerali, rocce, fossili, conchiglie e nel 1992, si contano ben cinquemila esemplari provenienti da tutti i continenti si pensa quindi di aprire un Museo di Scienze della Terra, unico del suo genere in Basilicata. Purtroppo le finanze dei ragazzi del G.G.S. Valle del Noce non sono tali da poter affrontare una “impresa” del genere e l’idea non si concretizza anche per il mancato appoggio delle autorità locali.
Ogni anno sempre nuove esplorazioni fino ad arrivare al 1985, anno cruciale per la vita della locale associazione speleologica, muoiono a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro il presidente Marotta Filippo e la guida tecnica Franco Orofino.
Vengono così a mancare due persone il cui carisma era riuscito ad amalgamare e riunire gli interessi di tanti giovani e meno giovani attorno ad una pratica sportiva e scientifica dando loro la possibilità di evitare quelle strade devianti che molti loro coetanei cominciavano a seguire.
Nel 1987 a 2 anni dalla morte del presidente Filippo Marotta comunemente chiamato “zio Mimmo”, nel mese di agosto, una telefonata dalla sede della Società Speleologica Italiana, annunciava agli speleologi lucani che il Catasto speleologico di Basilicata veniva spostato dalla sede di Castellana Grotte a Trecchina.
L’apertura della sede regionale del Catasto fu la molla che fece scattare di nuovo l’entusiasmo degli speleologi locali, ormai rimasti in pochi.
C’era da ricominciare a studiare le forme superficiali e profonde tipiche del carsismo della zona, da rilevare le grotte, da confrontare i dati scientifici ed inserirli nel Catasto delle Grotte e delle Aree Carsiche della Basilicata.
Al momento del suo trasferimento in Basilicata l’elenco catastale regionale annoverava poco più di cento grotte: si prospettavano anni di duro lavoro e ricerca perché il numero degli speleologi si era ridotto notevolmente in poco tempo: gli studi universitari ed il lavoro avevano portato via dai luoghi d’origine molti giovani, non c’era stato ricambio e bisognava iniziare quasi dal nulla.
Il solo pensiero di continuare l’operato di “zio Mimmo” amalgamò il primo gruppetto di speleologi.
Furono rispolverate le corde, ridato il grasso agli scarponi, ricaricate di carburo le lampade ad acetilene dei caschi, riprese le carte geologiche e topografiche della zona.
L’attività riprese a pieno ritmo: il numero delle grotte catastate lievitava nel tempo fino a raggiungere nel 1992 quota 200.
Per festeggiare la meta raggiunta, fu pubblicato, a cura della sede regionale del Catasto speleologico un opuscolo contenente l’elenco completo delle prime 200 grotte della Basilicata. Sempre nel 1992 le ricerche e le catalogazioni delle grotte marine riprendono agli stessi ritmi di quando veniva in Basilicata Franco Orofino. Si decide quindi di dar vita ad un ente, un’associazione che si interessi solamente delle grotte Marine. Nasce il Centro Europeo di Speleologia Marina. Negli anni successivi il numero delle cavità naturali lucane è salito sempre di più sino ad arrivare alle oltre trecentotrenta attuali.
Al momento la sede regionale del catasto speleologico di Basilicata si avvale del lavoro certosino di sei speleologi locali. Dai dati attuali risulta che a Maratea vi sono oltre il 50 % delle grotte catastate, mentre le rimanenti sono distribuite quasi tutte nel territorio del Lagonegrese, circa il 5 % è ubicato sul Pollino e circa il 3 % nel resto della Basilicata. Sono 51 le grotte marine, tutte ubicate sulla costa tirrenica di Maratea, caratterizzate da una doppia azione genetica: marina e carsica. Al momento la grotta più profonda della Basilicata risulta la Grotta di Castel di Lepre di Marsico Nuovo con 146 metri di dislivello dall’ingresso, al secondo posto in graduatoria la Festola Grande con 136 metri di Trecchina.
La cavità più estesa, invece, è la Grotta del Dragone di Maratea con oltre due chilometri di gallerie, cunicoli, pozzi e meandri, seguita dalla grotta di Castel di Lepre di Marsico Nuovo con 1845 metri. Al 30 settembre 1996 risultano censite 250 grotte e la regione Basilicata decide di stampare il volume Grotte ed Aree Carsiche della Basilicata (Ed. Regione Basilicata) autore Carmine Marotta (Curatore del Catasto Grotte ed Aree Carsiche della Basilicata dal 1987 ed attualmente in carica).
Di questo elenco non fanno ancora parte le numerose cavità della Murgia Materana, oggetto di studio e catalogazione, ma non ancora inserite nel catasto.
La maggiore densità di grotte per Km quadrato è nell’area territoriale della Comunità Montana del Lagonegrese. Hanno operato in territorio lucano numerosi gruppi provenienti da altre regioni: Calabria, Puglia, Campania, Lazio, Toscana, Liguria, Piemonte, Friuli e Veneto.
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